NewsCovid-19 e sanzioni penali: quali conseguenze per l’inosservanza dei divieti introdotti?

25/03/2020
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Covid-19 e sanzioni penali: i Decreti adottati per il contenimento dell’emergenza epidemiologica hanno introdotto numerosi divieti e altrettante raccomandazioni. Tuttavia, non hanno previsto alcuna specifica sanzione di natura amministrativa per coloro che violano i prescritti divieti; si sono infatti limitati a rinviare all’applicazione della pena stabilita dall’art. 650 c.p., salvo che il fatto non costituisca più grave reato (art. 3, comma IV D.L. 23 febbraio 2020, n. 6).

Eppure, da un lato, l’assenza di un’apposita sanzione amministrativa obbliga l’Ordinamento a perseguire penalmente le condotte, prefigurandosi così un ingente aggravio organizzativo per procure e tribunali. Dall’altro, l’introduzione di uno specifico illecito amministrativo avrebbe potuto sortire un valido effetto deterrente su coloro che, nonostante i precisi e ripetuti divieti, continuano a lasciare le proprie abitazioni senza giustificato motivo.

Nell’attesa di un tempestivo intervento in tal senso, non resta che rivolgersi al Codice penale e alle leggi speciali vigenti, per individuare le sanzioni penali connesse all’inosservanza delle disposizioni recentemente introdotte per fronteggiare l’emergenza da Covid-19.

 

Covid-19 e sanzioni penali. Rinvio all’art. 650 c.p.: “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”.

La prima disposizione che viene in rilievo è proprio l’art. 650 c.p.. Difatti, l’art. 3, comma IV del Decreto legge n. 6/2020 così dispone “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 del Codice penale“.

La norma ha introdotto un’autonoma figura di reato; il rinvio all’art. 650 c.p., infatti, opera soltanto quoad poenam, ossia al fine di determinare l’entità della sanzione, pari all’arresto fino a 3 mesi o all’ammenda fino a 206 euro.

E diversamente non potrebbe essere. L’art. 650 c.p. sanziona infatti l’inosservanza di provvedimenti individuali e concreti, rivolti a persone determinate, e non l’inosservanza di atti normativi generali e astratti, come quelli adottati per contrastare l’emergenza in atto.

La nuova contravvenzione è integrata, tra gli altri, da chi:

  1. non osserva i divieti imposti alle attività commerciali e produttive;
  2. è risultato positivo al Covid-19 e si allontana dalla propria abitazione;
  3. è sottoposto alla misura della quarantena e viola tale misura;
  4. presenta sintomi respiratori e/o febbre superiore a 37,5°C e si allontana dalla propria abitazione;
  5. tutti coloro che, seppur non presentino i sintomi, si allontanano dalla propria abitazione in assenza di comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.

Si precisa che, con l’entrata in vigore del Dpcm 22 marzo 2020, il rientro presso il proprio domicilio, abitazione e residenza non costituisce più una legittima giustificazione per gli spostamenti.

L’onere probatorio circa la sussistenza della situazione che autorizza lo spostamento grava sulla persona sottoposta al controllo da parte dell’Autorità; tale onere può essere soddisfatto, ad esempio, esibendo documentazione attestante il rapporto di lavoro in essere, mostrando certificazioni mediche o presentando ricevute di acquisto di beni di prima necessità.

In assenza di legittima giustificazione, il contravventore è punito – alternativamente – con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda fino a 206,00 euro. Trattandosi di contravvenzione con pena alternativa, è applicabile l’oblazione discrezionale (art. 162 bis c.p.); tale istituto porta all’estinzione del reato a fronte del pagamento di una somma di denaro, pari alla metà della pena pecuniaria massima, oltre le spese del procedimento.

La presente contravvenzione trova applicazione a patto che la condotta non costituisca più grave reato. Andiamo quindi ad analizzare le ulteriori fattispecie configurabili.

 

Covid-19 e sanzioni penali. I reati più gravi:

Art. 260 T.U. delle leggi sanitarie (R.D. n. 1265/1934).

Non è passato inosservato alla Procura della Repubblica del Tribunale di Milano il mancato rinvio all’art. 260 del T.U. delle leggi sanitarie da parte dei Decreti adottati per contrastare l’emergenza da Covid-19.

Tale norma sanziona chi “non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva”; la pena è quella dell’arresto fino a 6 mesi e dell’ammenda da lire 40.000,00 a lire 800.000,00.

Come precedentemente sottolineato, la nuova contravvenzione è norma di natura sussidiaria: trova applicazione soltanto quando l’inosservanza della misura di contenimento non sia sanzionata da altra norma, penale o amministrativa. Ecco che viene in gioco proprio l’art. 260 T.U. delle leggi sanitarie. Quest’ultimo non soltanto è sanzionato più severamente rispetto alla contravvenzione introdotta con il Decreto ma, soprattutto, costituisce una contravvenzione non oblabile. Ciò significa che non è possibile estinguere il reato mediante il pagamento di una somma di denaro.

 

Epidemia colposa (art. 452 c.p.).

Il reato di epidemia colposa è integrato da colui che, affetto da Covid-19, si allontana dalla propria abitazione e colposamente cagiona un’epidemia mediante la diffusione del germe patogeno. La pena è determinata dal combinato disposto degli artt. 452 e 438 c.p. (“epidemia dolosa”):

  1. reclusione da 1 a 5 anni, nei casi in cui la diffusione del virus cagioni un’epidemia;
  2. reclusione da 3 a 12 anni, nei casi in cui dalla diffusione del virus derivi la morte di più persone.

Il reato è integrato quando l’epidemia risulta incontrollabile e ha una diffusione, effettiva o potenziale, rapida ed estesa a un numero indeterminato e notevole di persone, nonché a un ampio territorio.

Pertanto, è da escludersi la sanzionabilità delle condotte che cagionano un focolaio epidemico localizzato ovvero limitato a un ambiente ristretto (es. comunità familiare, struttura ospedaliera).

In astratto, non può essere escluso che il soggetto affetto da Covid-19, che sia consapevole del suo stato di salute e che violi la misura della quarantena, venga imputato del ben più grave reato di epidemia dolosa, nella forma del dolo eventuale. Tuttavia, l’onere probatorio che grava in capo alle procure sarà ben difficile da sopportare, stante la diffusione ormai a livello nazione del virus.

 

Lesioni personali colpose (artt. 582 e 583 c.p.).

Le persone affette dal virus che violano la misura della quarantena possono altresì incorrere nel reato di lesioni personali colpose, qualora, allontanandosi dalla propria abitazione, contagino uno o più soggetti determinati.

Le pene sono graduate a seconda della gravità delle lesioni cagionate:

  1. reclusione da 6 mesi a 3 anni, in caso di malattia inferiore ai 20 giorni;
  2. reclusione da 3 a 7 anni, in caso di lesioni gravi;
  3. reclusione da 6 a 12 anni, in caso di lesioni gravissime.

Giova precisare che è escluso il concorso tra il delitto di epidemia colposa e il reato di lesioni personali colpose. Il concorso tra le due fattispecie, difatti, è apparente: uno degli elementi costitutivi dell’epidemia è proprio l’aver cagionato una lesione, da cui derivi una malattia nel corpo, a uno dei tanti soggetti colpiti dal morbo.

 

Covid-19, sanzioni penali e controlli. Le conseguenze per chi ostacola gli accertamenti o dichiara il falso.

Autocertificazione ex artt. 46 e 47 D.P.R. 445/2000: quali pene per chi dichiara il falso?

Le persone che si allontanano dalla propria abitazione, in caso di controllo da parte dell’Autorità, sono chiamate a giustificare lo spostamento mediante un’autocertificazione, predisposta dal Ministero dell’Interno (https://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/nuovo_modello_autodichiarazione_23.03.2020_compilabile.pdf).

Se, in occasione del controllo, vengono rilasciate al pubblico ufficiale informazioni mendaci, possono ricorrere le seguenti fattispecie:

  1. reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p. e art. 76 D.P.R. n. 445/2000), punito con la reclusione fino a 2 anni;

Tra le condotte sanzionate dall’art. 483 c.p. ricade anche il cd. falso ideologico in autocertificazione; tale reato è integrato dal privato che, all’atto di compilare la dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000, dichiari il falso.

Facciamo alcuni esempi. Tizio, chiamato dall’Autorità a compilare l’autocertificazione, indica, ad esempio, un cognome falso. Caio attesta di essere uscito dalla propria abitazione per recarsi a fare la spesa, quando invece è uscito per tutt’altro motivo.

  1. reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 495 c.p.), punito con la reclusione da 1 a 6 anni.

Una precisazione. Quest’ultima fattispecie non è integrata da colui che dichiari il falso circa la motivazione dell’allontanamento dall’abitazione, ma dal soggetto che dichiari falsamente dati anagrafici o altre qualità personali (es. nome, cognome, professione).

 

Controlli dell’Autorità: quali pene per chi non collabora?

In caso di controllo da parte dell’Autorità preposta, non soltanto si deve rispondere secondo verità, ma è altresì necessario collaborare con gli operanti. In caso contrario, si possono ipotizzare i seguenti reati:

  1. violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), sanzionato con la reclusione da 6 mesi a 5 anni;

Tale fattispecie ricorre quando un soggetto usa violenza o minaccia contro un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, per costringerlo a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio; il reato è integrato, inoltre, da chi tiene tali comportamenti per costringere il soggetto passivo a compiere un atto del proprio ufficio o servizio o per influire, comunque, su di lui.

Un esempio. Tizio, avvistato dall’Autorità al di fuori della propria abitazione, minaccia l’operante, affinché ometta l’accertamento circa la violazione dei divieti imposti per fronteggiare all’emergenza da Covid-19.

  1. Resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), sanzionato con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è integrato da chiunque utilizza violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o a un incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto d’ufficio o di servizio.

Può vedersi imputato di tale ultima fattispecie, la persona che, rinvenuta dall’Autorità fuori dalla propria abitazione e sottoposta quindi a controllo, spintoni o minacci l’operante, al fine di sottrarsi all’accertamento in corso.

 

Dott.ssa Claudia Gnesi

 

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